Ici résonne à vide le nom du pavillon

Guy Flecher


Qui risuona nel vuoto il nome del padiglione

Traduzione di Simonetta Silvestri Raggi


Retour
sommaire
Coll_Milan_2013.html
TéléchargementFG19italien_files/Raggi-Qui%20risuona%20nel%20vuoto.pdf

Sono stato invitato a questo Convegno per via del mio sito Lacanchine, vi ringrazio vivamente. Questo sito mi ha permesso di incontrare molte persone, di intraprendere attività di ricerca e interessanti discussioni. Il mio proposito di questa giornata deve molto ad alcuni che hanno condiviso con me le loro scoperte, le loro domande , le loro conclusioni … In particolare vorrei citare Michel Guibal ,Patrick Sigwalt, Patrick Gauthier-Lafaye e Ferdinando Scherrer che avrete l’occasione di ascoltare tra poco. Senza il loro lavoro non vi sarebbe oggi la mia esposizione, li ringrazio dunque per tutto quello che hanno apportato.


Farò una panoramica del percorso cinese di Lacan, situando il suo inizio e ricordandone gli ultimi momenti. Questa conferenza sarà l’occasione per altri di approfondire quei punti precisi che hanno generato il percorso di Lacan nel mondo cinese.

Dobbiamo tornare indietro nella storia, al tempo della guerra e dell’occupazione. Lacan in questo periodo era soprattutto preoccupato per la sua situazione familiare. Nel 1941 la sua nuova ragazza Sylvia era rifugiata nella zona franca sulla Costa Azzurra , dove aveva dato alla luce Judith . Con l’intermediazione di Georges Bataille, all’inizio di quell’anno Lacan aveva acquisito l’ appartamento al 5 di rue de Lille.

Durante questo periodo Lacan non aveva pubblicato alcun testo, teneva molte consultazioni nel suo studio e raggiungeva Sylvia un fine settimana su due a Cagnes .Visitava negozi di antiquariato e acquistava dipinti dei suoi amici Picasso , Balthus e Masson, frequentava, sempre attraverso Bataille, Leiris, Sartre, Simone de Beauvoir, Camus… Lacan divideva il suo tempo tra queste occupazioni, il suo studio, le sue consultazioni a Sainte-Anne e suoi viaggi per raggiungere Sylvia e la loro figlia Judith.

Finché si accorse che, quasi di fronte al suo appartamento, vi era la porta della Scuola Nazionale di Lingue Orientali. Aveva solo bisogno di attraversare la strada stretta di Lille per varcare quella soglia, ed è qui che si iscrisse nel 1942 per frequentare il corso di cinese. Il corso si articolava in due mezze giornate, la prima parte tenuta da un insegnante cinese e la seconda parte dal professor Demieville, c’erano in tutto una quarantina di studenti.

Ci si può chiedere allora che cosa avesse spinto Lacan a 40 anni a mescolarsi con i giovani studenti per studiare il cinese. Potrebbe essere stata una conseguenza del suo incontro con Jung nel 1933 a Prangins ? Lascio a Patrick Sigwalt , il compito di approfondire il rapporto tra Lacan e Jung. O forse fu per l’influenza di Georges Bataille, il quale aveva ampiamente evocato il buddismo cinese nei suoi scritti di quel periodo.

Oppure fu per il prestigio di colui che assicurava il suo insegnamento : Paul Demieville , questo svizzero che dopo un lungo soggiorno in Estremo Oriente divenne dal 1931 professore di cinese presso la Facoltà di Lingue Orientali. Lacan dimostrò sempre un grande affetto verso quest’uomo che aveva designato con le parole “il mio buon maestro” e fu un fedele lettore dei numerosi testi sul buddhismo chan che aveva pubblicato, tra i quali un articolo intitolato ” Lo specchio spirituale”.

La notorietà di Demieville era grande e nel 1929 gli venne affidata la direzione di un’opera monumentale, un dizionario enciclopedico del Buddhismo al quale consacrerà tutta la sua vita. Ora è interessante vedere la prima voce nell’enciclopedia che è dedicata alla lettera “a” .

Ed è tra l’altro menzionata in quel articolo:

“In maniera generale , la lettera “a” simboleggia tutte le negazioni che limitano il finito rispetto a l’assoluto . [ I suoi sensi sono ] Esistenza , Vuoto , Senza-Produzione [ ... ] Questo è il Senza -Produzione di tutte le Essenze. “

Di sicuro Lacan, in un momento o in un altro, questo articolo lo avrà letto…

Lacan quindi frequentò questi corsi regolarmente, due volte a settimana per imparare la lingua e studiare i testi antichi e moderni. Dopo tre anni, nel giugno del 1945, solo 12 studenti si presentarono per il diploma, e otto, tra cui Lacan , furono ammessi. Lacan ricevette un punteggio medio di 14 e una menzione. In un Curriculum Vitae scritto nel 1957, Lacan menzionerà questo apprendimento parlando di ” informazione linguistica da applicare secondo l’esigenza . “


Dal 1946 Lacan non mancherà di far sapere che il cinese fa parte della sua cultura. E’ a Michel Guibal che dobbiamo questo ritrovamento .

Siamo dunque al mercoledì 16 ottobre del 1946, il giorno in cui si sono conclusi gli Incontri di Bonneval organizzati da un amico di Lacan, Henry Ey, giornate dedicate al “Problema della psicogenesi delle nevrosi e psicosi . ”

Lacan è stato incaricato di tenere il discorso di chiusura. Egli inaspettatamente fa riferimenti alla lingua cinese :
… La lingua cinese meglio di ogni altra sa coniugare la fermezza con il fervore
e introduce la parola cinese dǒngde 懂得.

Questa è una parola di due caratteri che viene solitamente tradotta come ” comprendere “. Ma Lacan stesso precisa che unisce la fermezza con fervore. La parola è composta da un verbo, dǒng, e completato da un complemento di risultato, de . Questo verbo dǒng significa anche “conoscere” e “afferrare”, “prendere – con “. Si tratta di un fervore, sottolinea Lacan, che permeava l’atmosfera che regnava durante i tre giorni di lavoro: quella di un fervore condiviso.

Riprendiamo quindi questo passaggio del discorso di Lacan :

… Ho l’onore di concludere questo bel dibattito, sono ispirato a ricorrere alla lingua cinese, che meglio di ogni altra sa coniugare la fermezza con il fervore ,

e con i due caratteri dǒngde 懂得, a esprimere rigorosamente il tipo di comunione che è emersa tra noi e che la nostra lingua non è in grado di tradurre se non forzando un po ‘ il senso formale .

In questo momento solenne, Lacan si autorizza a ciò che può essere considerato una vanità e che , va detto , non aggiunge molto alla comprensione di chi non è addestrato alla sottigliezza della lingua cinese! Ma questa deviazione gli permette, come è consuetudine nel mondo cinese , di considerare che la contraddizione non è opposizione. In questo occasione, la persone si sono comprese l’un l’altra nel loro forte disaccordo. Può darsi che pochi anni dopo, nel suo dissenso con l’IPA , avesse sperato che una tale situazione sarebbe potuta essere nello stesso tempo insostenibile e possibile?

E ‘comunque con lo stesso fervore e fermezza che continuò a mantenere il dibattito con Henry Ey ! Venti anni più tardi, Lacan non esiterà a chiamare la sera tardi il suo amico Henry Ey per chiedergli il suo parere sulla clinica delle allucinazioni!

(Sappiamo che non avrà mai smesso di mettere in guardia in relazione al ” capire” che rientra nell’immaginario, raccomandando piuttosto di affidarsi al significante.)


Successivamente diventerà sua abitudine citare parole cinesi ai suoi seminari. Ciò è sconcertante per il suo pubblico, visto che sembra che nessuno degli auditori conosca la lingua cinese! Quindi si considereranno queste scappatelle esotiche come una civetteria di Lacan. Non rimane che prendere atto che a parte un articolo di Mayette Viltard , due articoli dell’agopuntore Francis Rouam e, naturalmente, in tutto il lavoro di Michel Guibal, non si è mai trovato alcun riferimento serio su Lacan e il mondo cinese pubblicato prima del 2000 . Vi rimando al mio sito per verificare!

E questa sensazione di stranezza e incongruenza appare nelle molteplici versioni scritte dei seminari dove appaiono espressioni strane o disegni che devono essere decifrati per riconoscerli per quello che sono, vale a dire parole e caratteri cinesi.

Anche la cosiddetta edizione ufficiale dei seminari è marcata da un profondo imbarazzo verso queste cineserie. Mentre i caratteri sono riprodotti correttamente nella loro versione tradizionale . Possiamo anche identificare nell’edizione del seminario XVIII, una significativa inversione nella rappresentazione di due caratteri di cui Lacan ci dice che uno, ze significa “conseguenza ” e l’altro gù “non significa altra cosa che causa”. Nell’edizione stabilita da Jacques- Alain Miller, “conseguenza ” è confusa con “causa “, e viceversa!

L’imbarazzo riguarda quindi anche Jacques- Alain Miller che utilizza varie modalità di traslitterazione della lingua cinese in lingua romana, così di solito usa la trascrizione anglosassone WADE ma mai l’antica trascrizione della scuola francese che ha il merito di essere coerente con le fonetica francese. Qualche volte utilizza anche una trascrizione molto personale … Ora, la convenzione internazionale è di utilizzare in tutte le circostanze il pinyin .

Tuttavia, nel 2011, nell’edizione “Ou pire” si è fatto aiutare da un cinese e per il rispetto alla Convenzione si trova una intera frase in pinyn. Purtroppo, poche pagine dopo, improvvisamente si trova scritto un carattere secondo il modello anglosassone.

In tempi diversi, Lacan scrive alla lavagna in modo che gli spettatori possano ricopiare. Il 9 febbraio 1972 , nell’introduzione alla lezione, scrive un pasticcio di sua mano di una sentenza classica che traduce : “Io ti chiedo di rifiutare ciò che ti offro [ ... ] perché non è quello ” . Ora di questo scritto alla lavagna non si comprende il senso se non seguendo le sue osservazioni che egli è desideroso di discutere e che riguardano la sua scoperta del giorno prima: i nodi come anelli al dito. Improvvisamente questa scrittura , questo pastiche è così incongruo che Jacques -Alain Miller non lo ha nemmeno trascritto nella sua versione pubblicata nel 2011.


Quindi, è ragionevole chiedersi perché Lacan utilizzi il cinese e la sua conoscenza della cultura tradizionale cinese per confondere il pubblico e come vi arriva! Sapendo che il pubblico non ne sa niente di cinese… Non sembra che questo sia solo un modo per ricordare che l’approccio della psicoanalisi non è così evidente come l’approccio al cinese.

Ma, del resto, fa anche riferimenti molto espliciti a questa cultura, riferimenti che sono i pilastri del suo progresso. In questi casi, è molto chiaro e insistente perchè per lui la sua esperienza nel mondo cinese ha a che fare con la pratica della psicoanalisi stessa .

Così vi è un momento essenziale in cui egli pone l’essenza di quello che sarà il sui insegnamento . I18 novembre 1953 è la data della prima sessione del primo seminario trascritto di Lacan. Le prime parole di questa prima sessione sono per descrivere gli insegnamenti di un maestro cinese di chan (lo zen giapponese) Leggiamo ora queste prime parole che inaugurano 25 anni di seminario :

Il maestro interrompe il silenzio non importa come, con una risposta sarcastica o un calcio .

E’ così che procede nella ricerca di senso un maestro buddista secondo la tecnica Zen.

Spetta agli studenti stessi trovare le risposte alle proprie domande, l’insegnante non insegna ex cattedra una scienza fatta ma porta la risposta quando gli studenti sono in procinto di trovarla.

Questo insegnamento è un rifiuto di qualsiasi sistema. Egli scopre un pensiero in movimento – Il pensiero di Freud è perennemente aperto a revisione. Ogni concetto ha una propria vita. Questo è esattamente ciò che si chiama dialettica .

Come non vedere questo momento come l’annuncio di un seguito, come l’apertura di un opera classica, come la descrive Octave Mannoni! (Mannoni O., Un commencement qui n’en finit pas, Éd. Seuil, 1980.)

Si riconosce la preoccupazione di Lacan di fare del suo insegnamento un campo di domande e non di non risposte. Ecco come lascia intendere in un attimo la concezione della sua pratica, non dimentichiamolo, se non vogliamo che questa pratica finisca nel buco dell’istituzione psicoanalitica .

Questa apertura si riferisce direttamente a quello che si trova in tutti gli scritti di Lin Ji , il fondatore della più grande scuola Zen del Giappone. La traduzione di questi commenti sono opera di Demieville , il “buon maestro ” di Lacan. In particolare troviamo in questa breve sentenza ( koan ) il senso del “vero uomo”, vale a dire liberato dal suo ego :

Un monaco domanda quale fosse la grande idea del buddismo. Il suo maestro emette un rutto. Il monaco si inchina e il maestro dice: “Ecco, c’è chi si mostra in grado di supportare la discussione “.

Così come non pensare alla pratica di Lacan punteggiata da interruzioni, interpretazioni sconcertanti ed enigmatiche. Per Lacan l’analisi non è una procedura di ammissione in cui al soggetto viene chiesto di dire quello che sa, ma deve condurre invece a fargli dire ciò che non sa di sapere. E il senso non può che operare in modo sconcertante.

Nel 1968 a Strasburgo Lacan farà riferimenti allo zen:

[ ... ] A Sainte – Anne , dove ho fatto grande uso dello zen , naturalmente, chi si ricorda sa che che io mi sono riferito allo Zen per esprimere qualcosa di ciò che accade in psicoanalisi .
(Lacan J. (1968), « En guise de conclusion » Discours de clôture au Congrès de Strasbourg, le 13 octobre 1968, publié dans Lettres de L’école Freudienne, 1970, n° 7, p. 157-166)

E nel 1973 per riaffermare :

Ciò che vi è di meglio nel buddismo è lo Zen, e lo Zen consiste nel poter rispondere abbaiando.

Così, per molteplici riferimenti alla buddismo cinese e il lavoro di Demieville , vi rimando all’inventario  in un articolo pubblicato sul mio sito. http://www.lacanchine.com/FG18.html

Ma torniamo alle circostanze del progetto annunciato in apertura del seminario. Vi ricordo che Lacan allora si trovava in una situazione istituzionale estremamente difficile, e si può notare che in  altri momenti difficili farà riferimenti al cinese.


Così, negli anni sessanta, ci fu un grande dibattito, spesso doloroso, con i linguisti a cui quali in un seminario, rispose:
…Ciò mi ha aiutato molto a generalizzare la funzione di significato, anche se fa male ad alcuni linguisti che non conoscono il cinese.

(Lacan J. (1970-1971). D’un discours qui ne serait pas du semblant, Le séminaire Livre XVIII, Paris, Seuil, 2006, séance du 10.02.1971)

Abbiamo visto i  di Lacan al buddismo cinese, il chan, e di come abbia insistito sul fatto di aver studiato i testi del taoismo in particolare. Ma c’è un’altra pratica che ha frequentato, è quella della lingua cinese e, soprattutto, della la scrittura . François Cheng ci ha mostrato una copia scritta da Lacan di un testo cinese. (Cheng F, « Lacan et la pensée chinoise », in Lacan, l’écrit, l’image, Flammarion, 2000, p. 145.)

Infatti è lo stesso Lacan che scrive in cinese frasi di  Mencio sulla lavagna. Si rammarica di dover scrivere col gesso e non con un pennello come si fa con la calligrafia. “Mi rincresce molto che il gesso non mi permetta di mettere gli accenti come con il pennello”.

Questa pratica della scrittura cinese, la scrittura che ha generato l’arte della calligrafia è evidentemente un’esperienza che sottintende alle questioni di Lacan sulla scrittura. Tutti coloro che hanno condiviso la pratica della scrittura e della calligrafia cinese, sanno come il corpo è impegnato in questa pratica.


Nel tumulto degli anni post ’68, si appella a un neo-confuciano , Mencio, per rispondere al suo entourage, che si trascina  in un distruttivo maoismo della tradizione confuciana . E come scrive Roudinesco Elizabeth : ” Così decide di mostrare loro che la rivoluzione freudiana , che opera su sè in una sfida solitaria a Dio, è preferibile alle crociate insurrezionali che non fanno, ai suoi occhi che ricostruire idoli. ” (Roudinesco E., « Quand Lacan défendait la révolution freudienne contre les idoles de l’insurrection », Le Monde du 23 février 2006. L’article dans son entier est visible sur le net : http://psychanalyse.blogspot.fr/2006/03/quand-lacan-dfendait-la-rvolution.html.)

A questo proposito, possiamo citare la profonda incomprensione di alcuni suoi amici più prossimi, circa il suo interesse per il mondo cinese. Il suo mondo cinese è quello che ha scoperto con Demieville e che ha scelto di approfondire con François Cheng. Ma nel 1974 , in piena rivoluzione culturale, gli ammiratori della rivista Tel Quel lottano per permettergli di andare in Cina con loro. Il gruppo è guidato da Philippe Sollers e quindi comprende Julia Kristeva , Marcellino Pleynet , Roland Barthes e François Wahl. Ma Lacan fece fallire il progetto, denunciando il puritanesimo del regime cinese, continuando a richiedere di poter portare una delle sue ” allieve “.

Perchè Lacan era immerso in un’altra Cina. Questo il dibattito avuto con François Cheng, sulla poesia, sul Taoismo e su Mencio .


Sappiamo, soprattutto attraverso la testimonianza di Cheng , che Lacan continuuò a concentrarsi sul mondo cinese e specialmente sulla poesia. Cheng stesso, attraverso il suo lavoro e il suo libro sulla poesia cinese , ha mostrato come la questione del vuoto fosse al centro dei loro scambi, e come questi lo condussero a ciò che aveva chiamato ” vuoto – mediano . Questo termine si trova nel titolo del libro di François Cheng “Il libro del vuoto mediano”, che è tradotto in cinese come chōngxū 冲虚 che è un’espressione che non si trova nei classici cinesi, ma coniata da lui .

L’ultimo incontro tra Lacan e Cheng ha luogo a Guitrancourt al seguito della lettura tenuta da Lacan del librodi Cheng , “La scrittura poetica cinese” pubblicato nel 1977 .

Quella domenica mattina François Cheng pone una questione a Lacan sulla metafora e la metonimia, Lacan allora scelse dalla raccolta di Cheng , una poesia di Wang Wei , ” Il lago Yi .” Cheng è colpito dalla pertinenza della scelta di Lacan. Dal loro scambio François Cheng ebbe un insegnamento che commenterà 20 anni dopo, inserendolo nella edizione tascabile del suo libro .

Lacan trascorse l’intera giornata a studiare una poesia da lui scelta ha scelto e proposta a Cheng .

E’ una poesia di un famoso poeta del secolo VIII Tang , Cui Hao 崔颢, ” Il padiglione  della gru gialla “.

Questa poesia evoca una vecchia leggenda. Si dice che dall’alto di un padiglione situato a Wu -han e affacciato sul maestoso fiume Yangtze , degli immortali hanno preso il volo . Volarono via sul dorso di un uccello favoloso,la Gru Gialla, verso il luogo originale .

Propongo la traduzione di François Cheng presa in considerazione in quella giornata :

Les Anciens sont partis chevauchant la Grue-Jaune ;

Ici résonne à vide le nom du pavillon.

La Grue-jaune disparue jamais ne reviendra ;

Mille ans les nuages blancs errent au cœur du Vide.

Le clair fleuve entouré des arbres de Han-yang ;

L’herbe drue parsemant l’île des Perroquets.

Face au couchant où donc retrouver le sol natal ?

Les flots mués en brume avivent la Nostalgie.


l padiglione della Gru gialla

Gli antenati sono partiti cavalcando la Gru Gialla

qui risuona nel vuoto il nome del padiglione

La gialla gru scomparsa mai più ritornerà!

Mille anni. Bianche nubi si allargano all'infinito…

Fiume pieno di sole, verdi alberi di Han-yang,

Erba fresca, rigogliosa: Isola dei Pappagalli.

Dov'è il mio paese, di là a ponente?

Onde sommerse dalla bruma, uomo prostrato dalla tristezza…


E Cheng aggiunge : “Nel fondo di se stessi si sa che si vive in un mondo separato e la vita scorre forse come l’acqua di fiume, in pura perdita. Desiderio di unirsi all’Origine, di risalire la corrente per ritrovare tutto. Da qui la nostalgia insopprimibile . ”

Si constata nella poesia che a due riprese è menzionato il vuoto kong . Due volte lo stesso carattere in una poesia cinese ha un significato di insistenza . Ho tenuto il primo e il secondo verso nel titolo del mio intervento : ” « Ici résonne à vide le nom du pavillon » ” E’ cercando di tradurre questi versi in italiano che si rivela tutta l’ambiguità della traduzione di Cheng : il nome risuona nel vuoto e / o invano. In italiano si deve scegliere tra queste due letture :

qui risuona nel vuoto il nome del padiglione

o

qui risuona invano il nome del padiglione


Leggendo questo poema Lacan coglie l’occasione d’interrogare, di nuovo, la funzione del vuoto-mediano. Ancora una volta, instancabilmente, torna a questa domanda sul vuoto nel pensiero cinese. Questo vuoto che preserva il maestro chan nel suo rutto, in risposta al suo discepolo. Poiché il vuoto è Soffio e il Soffio è Trasformazione, come disse Lacan a François Cheng :

Il nostro compito è quello di dimostrare l’impossibilità di vivere, per rendere la vita un po’ più possibile. Lei ha vissuto il divario estremo, perché non espanderlo ulteriormente al punto di identificarsi con esso ?…

Può darsi che Lacan indirizzasse questo discorso a se stesso…

Mi viene in mente una storia che mi ha raccontato un amico che è andato di recente sulla tomba di Lacan a Guitrancourt. Aveva incontrato per caso il vicino della villa di Lacan, che aveva lo stesso il giardiniere di Lacan. Quel giardiniere gli aveva descritto Lacan seduto sul bordo della piscina, i piedi nell’acqua, perso nei suoi pensieri, e talmente immobile da sembrare morto.

Qui risuona nel vuoto il nome del padiglione

Relazione di Guy Flecher per il convegno “Lacan e la Cina” tenuto il 17 e il 18 ottobre 2013 a Milano.


http://falloincina.bloog.it